Storia del Tartufo: Curiosità, Leggende e Segreti dei Tartufi Pregiati

Scopri la storia affascinante del tartufo, dalle leggende antiche alle tradizioni culinarie moderne. Esplora curiosità e segreti di questo pregiato fungo ipogeo.

storia del tartufo

Il tartufo, questo enigmatico e prezioso fungo ipogeo, rappresenta un ingrediente affascinante, le cui radici affondano profondamente nella cultura e nella gastronomia non solo italiana, ma mediterranea ed europea[2]. La storia del tartufo è sempre stata avvolta da un alone di mistero, intrisa di miti e leggende che ne hanno accompagnato la scoperta e l’utilizzo nel corso dei millenni[3]. Dalla credenza etrusca che il prezioso fungo nascesse dai fulmini di Giove, fino alla rigorosa classificazione scientifica del botanico torinese Vittorio Pico, il percorso del tartufo nella storia è ricco di curiosità e aneddoti affascinanti[4]. Oggi, varietà pregiate come il Tartufo Bianco d’Alba (Tuber magnatum Pico) sono considerate eccellenze gastronomiche a livello mondiale, simbolo di lusso e raffinatezza, apprezzate per il loro aroma unico e la loro intrinseca rarità[5]. Questo articolo si propone di ripercorrere le tappe salienti della storia del tartufo, svelandone segreti e leggende, per comprendere appieno il fascino intramontabile di questo dono della terra.

Punti chiave

  • Il tartufo è un ingrediente antico e prezioso, radicato nella cultura e gastronomia italiana.
  • La storia del tartufo è costellata di leggende, miti e curiosità affascinanti.
  • Il Tartufo Bianco d’Alba è considerato un’eccellenza gastronomica mondiale.
  • La ricerca del tartufo, un tempo affidata ai maiali, si è evoluta con l’uso di cani addestrati.
  • Il tartufo è stato apprezzato e studiato fin dall’antichità, con trattati e classificazioni botaniche che ne hanno svelato la natura.

1. Le origini mitologiche: il tartufo nella cultura antica

Etruscan Legend of Jupiter's Thunderbolt

Fin dalle sue prime apparizioni documentate, il tartufo ha stimolato la fantasia umana, ammantandosi di un’aura di mistero e generando numerose leggende sulla sua origine[3]. Già presso gli antichi Etruschi, si credeva che questo enigmatico fungo ipogeo non avesse una nascita “normale”, ma fosse il risultato diretto di un evento divino: l’idea che il prezioso fungo nascesse dall’azione di un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia era diffusa[3, 1]. Questa credenza, ripresa anche da poeti latini come Giovenale, sottolineava la natura quasi ultraterrena attribuita al tartufo: non un semplice fungo, ma una sorta di prodigio, un’escrescenza della terra generata da una forza superiore[1, 3].

Questa origine mitologica contribuì a rendere il tartufo un cibo speciale, quasi magico, spesso associato alla potenza divina e, per estensione, a proprietà afrodisiache[3]. Il fatto che Giove era anche famoso per la sua prodigiosa attività sessuale non faceva che rafforzare questa connessione nell’immaginario collettivo. L’associazione tra tartufi e qualità afrodisiache perdurò per secoli, come vedremo.

La leggenda etrusca del fulmine di Giove

La leggenda più affascinante sulle origini del tartufo è senza dubbio quella etrusca, poi ripresa dai Romani[3]. Essa narra che il prezioso fungo nascesse nel punto in cui un fulmine scagliato da Giove (padre degli dei) colpiva la terra, solitamente vicino a una quercia (albero sacro a Giove stesso)[3, 1]. Questa origine “celeste” conferiva al tartufo un’aura sacra e misteriosa[1].

Il poeta latino Giovenale (I-II secolo d.C.) fa eco a questa credenza, suggerendo che l’origine del tartufo (Tuber per i latini) fosse dovuta appunto al fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia[1]. Questa narrazione mitologica contribuì a elevare il tartufo da semplice prodotto della terra a cibo quasi divino, ricercato e apprezzato per le sue presunte virtù straordinarie, incluse quelle afrodisiache[3].

2. Storia del Tartufo: I primi ritrovamenti documentati in Italia

Tartufo antico romano

Le prime notizie certe sul tartufo compaiono nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)[4]. Egli lo descrive come un mistero della natura, un prodotto che nasce e cresce senza radici, classificandolo tra i vegetali ma esprimendo meraviglia per la sua natura enigmatica[4]. Secondo Plinio il Vecchio, furono gli Etruschi i primi a scoprire e apprezzare l’uso culinario del tartufo[4]. Questa testimonianza conferma che il tartufo è sempre stato presente e apprezzato nella penisola italiana fin dall’antichità[4]. Il fungo ipogeo, appartenente al genere Tuber, è solo uno dei tanti funghi simili che crescono nel sottosuolo, spesso vicino alle radici degli alberi, e la cui dispersione delle spore è affidata agli animali che se ne cibano[4]. Esistono anche le terfezie, o “tartufi del deserto”, tipiche di aree aride del Mediterraneo, che venivano consumate già dagli antichi Sumeri[4].

2.1 Il tartufo nella cucina dell’antica Roma

Sebbene le prime testimonianze scritte siano di epoca romana, è probabile che l’uso del tartufo fosse ancora precedente[4]. I Romani, comunque, lo apprezzavano grandemente a tavola[4]. Il celebre gastronomo Marco Gavio Apicio, nel suo “De re coquinaria” (la più importante raccolta di ricette dell’antica Roma), menziona diverse preparazioni a base di tuber, probabilmente riferendosi più alla terfezia che ai tartufi pregiati che conosciamo oggi (Tuber magnatum o Tuber melanosporum)[4]. Questo dimostra che il tartufo (o i suoi parenti prossimi) era molto apprezzato a tavola dagli antichi romani[4].

Anche il filosofo greco Plutarco di Cheronea (I-II secolo d.C.) contribuì a consolidare l’idea che il prezioso fungo nascesse dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini[1]. Il medico Galeno (II secolo d.C.) ne esaltava le proprietà nutritive, affermando che “il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà“, alludendo alle sue presunte qualità afrodisiache[1]. Infatti, per lungo tempo, il tartufo veniva considerato altamente afrodisiaco

3. Il Medioevo: tra superstizione e proibizione

tartufo

Con la caduta dell’Impero Romano e l’avvento del Medioevo, il tartufo visse un periodo di oblio e sospetto[5]. A differenza dell’epoca classica, dove era considerato un dono degli dei, in età medievale venne spesso associato a credenze negative e superstizioni[5]. La sua natura misteriosa di fungo ipogeo, che cresce nascosto sotto terra senza apparenti radici o semi, insieme al suo odore penetrante, contribuirono a farlo considerare un “frutto del diavolo”, una manifestazione maligna[5]. L’aroma era una sorta di richiamo peccaminoso.

3.1 Il tartufo come “frutto del diavolo”

Questa connotazione negativa portò alla sua scomparsa dalle mense aristocratiche e persino da quelle popolari per lunghi periodi[5]. Tuttavia, la conoscenza del tartufo non andò completamente perduta. Trattati medievali, come l'”Opusculus de tuberibus”, continuavano a descriverne le proprietà e gli usi, suggerendo che, nonostante la diffidenza, esso continuasse ad essere ricercato e consumato, seppur in modo più discreto o limitato ad alcune aree[6]. La parola tartufo fu per molto tempo associata a queste superstizioni.

Sarà solo con il Rinascimento che il tartufo verrà pienamente riabilitato, tornando a essere protagonista della buona tavola ed il tartufo celebrato come prelibatezza[7]. In questo periodo di rinnovato interesse per la gastronomia e le scienze naturali, figure come Caterina de’ Medici e Lucrezia Borgia contribuirono a riportare in auge questo prezioso fungo[8]. Nel 1564, il medico umbro Alfonso Ciccarelli pubblicò il primo trattato moderno dedicato specificamente ai tartufi,

4. Il Rinascimento: la riscoperta del diamante della cucina

tartufo

Il Rinascimento segnò una vera e propria rinascita per il tartufo, che riconquistò il suo status di ingrediente di lusso e prelibatezza sulle tavole delle corti italiane ed europee[8]. Dopo secoli di oblio e superstizione medievale, questo prezioso fungo tornò ad essere celebrato come il “diamante della cucina”[8]. Le grandi famiglie nobiliari, come i Medici a Firenze e i Borgia a Roma, furono tra le prime a reintrodurre i tartufi nei loro sontuosi banchetti, facendone nuovamente un simbolo di raffinatezza e potere[8].

Contemporaneamente, l’interesse scientifico per il tartufo iniziò a crescere. Il naturalista Andrea Cesalpino fu il primo a classificare correttamente il tartufo come un fungo, contribuendo a diradare l’alone di mistero sulla sua natura[8]. La fama del tartufo italiano, e in particolare del tartufo piemontese, si diffuse rapidamente presso tutte le corti europee, anche grazie a figure influenti come la regina Caterina de’ Medici, che ne promosse l’uso culinario alla corte di Francia[8]. Anche Lucrezia Borgia era notoriamente ghiotta di tartufi, contribuendo a consolidarne l’immagine di cibo esclusivo e ricercato[8].

“Il tartufo è uno dei più preziosi doni che la natura abbia mai creato.” – Bartolomeo Scappi, cuoco del Rinascimento[9]

5. La nascita della cerca: dall’istinto alla tecnica

Cerca del tartufo con cani

La ricerca del tartufo, o “cerca”, è un’arte antica che si è evoluta nel corso dei secoli[9]. Inizialmente, ci si affidava probabilmente all’osservazione degli animali selvatici (come i cinghiali) noti per essere ghiotti di tartufi, o all’istinto dei maiali, dotati di un olfatto finissimo e naturalmente attratti dall’intenso aroma del fungo maturo[9]. L’uso dei maiali per la ricerca è documentato per secoli, ma presentava l’inconveniente che l’animale, una volta trovato il tartufo, tendeva a divorarlo[9].

Fu così che, progressivamente, si passò all’utilizzo di cani addestrati[9]. Il cane, grazie al suo olfatto eccezionale e alla sua addestrabilità, si rivelò un alleato molto più efficace e gestibile per il tartufaio (il cercatore di tartufi). Razze specifiche, come il Lagotto Romagnolo, sono state selezionate nel tempo proprio per questa attività, ma molti meticci o cani da caccia possono diventare ottimi cercatori se addestrati fin da cuccioli[9]. L’addestramento si basa sull’associazione tra l’odore del tartufo e la ricompensa (cibo o gioco)[9].

Dai maiali ai cani: l’evoluzione della ricerca

L’uso del cane ha permesso di affinare le tecniche di ricerca, rendendole più precise e meno invasive per l’ambiente rispetto allo scavo indiscriminato dei maiali[9]. Il cane addestrato segnala la presenza del tartufo senza danneggiarlo, permettendo al tartufaio di estrarlo con delicatezza usando l’apposito vanghetto[9]. Il Lagotto Romagnolo, come accennato, divenne il cane da tartufo per eccellenza in Romagna e aree limitrofe già nell’Ottocento, passando da cane da riporto in acqua a specialista della cerca nel sottobosco[9]. La sua popolarità è cresciuta enormemente, tanto che le iscrizioni ai libri genealogici sono raddoppiate in pochi anni alla fine del secolo scorso[9].

Il legame profondo che si instaura tra il tartufaio e il suo cane è un elemento fondamentale di questa tradizione[10]. Studi recenti sul DNA mitocondriale canino confermano l’origine antica di questo sodalizio uomo-cane, evidenziando come alcune razze mantengano tratti neotenici (infantili) simili a quelli dei cuccioli di lupo, che ne facilitano l’addomesticamento e la collaborazione con l’uomo[10]. La ricerca del tartufo diventa così espressione di una simbiosi ancestrale tra uomo, animale e natura[9].

“La simbiosi tra l’uomo e il suo fedele compagno a quattro zampe è diventata parte integrante della tradizione della cerca del tartufo, tramandata di generazione in generazione.”[10]

6. Il ‘700: il secolo d’oro del tartufo italiano

Tartufi italiani del '700

Il Settecento rappresenta un’epoca d’oro per il tartufo italiano, in particolare per il tartufo bianco piemontese, che conquistò definitivamente le tavole e il favore delle corti di tutta Europa[11]. Il tartufo piemontese era considerato presso tutte le corti europee una prelibatezza assoluta, un simbolo di lusso e raffinatezza gastronomica[11]. Sovrani sabaudi come Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III erano grandi estimatori di tartufi e ne fecero un vero e proprio “divertimento di palazzo”, organizzando battute di cerca e offrendo i preziosi funghi agli ospiti e gli ambasciatori stranieri[11].

Il trattato di Vittorio Pico e la classificazione dei tartufi

Fu proprio in questo secolo che il tartufo iniziò ad essere studiato anche da un punto di vista scientifico[11]. Nel 1780 (o 1788 secondo altre fonti), il medico e botanico torinese Vittorio Pico pubblicò a Milano un trattato fondamentale, “Methodus fungorum”, in cui classificò per la prima volta scientificamente il Tartufo Bianco Piemontese con il nome di Tuber magnatum, distinguendolo da altre specie[11]. L’epiteto “magnatum” (dei magnati, dei signori) sottolineava ulteriormente lo status elitario di questo fungo. La classificazione di Vittorio Pico fu un passo cruciale per la conoscenza botanica dei tartufi[11]. Il micologo Carlo Vittadini, nell’Ottocento, proseguirà questo lavoro di classificazione delle diverse specie di tartufo.

Gli studi scientifici, uniti alla fama gastronomica, consolidarono la reputazione del tartufo italiano e piemontese nel mondo[11]. La storia del tartufo, da questo momento, entra in una nuova fase, più consapevole e scientifica[11].

[11]

“Il tartufo piemontese era considerato una vera e propria prelibatezza presso tutte le corti europee, tanto da diventare un vero e proprio ‘divertimento di palazzo’ per sovrani come Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III.”[11]

7. I pionieri della tartuficoltura in Italia

tartuficoltura

Parallelamente agli studi scientifici sulla natura del tartufo, iniziò a farsi strada l’idea, quasi utopistica per l’epoca, di provare a “coltivare” questo sfuggente fungo ipogeo. La storia della tartuficoltura, ovvero il tentativo di favorire la crescita dei tartufi in ambienti controllati o semi-controllati, vede i suoi primi passi proprio in Italia nel Settecento[12].

L’esperimento del conte di Borch in Piemonte

Uno dei primissimi pionieri documentati fu il conte polacco Michel-Jean de Borch che, nella seconda metà del XVIII secolo, condusse alcuni esperimenti di impianto di tartufi (probabilmente tartufo nero) in Piemonte, cercando di replicare le condizioni naturali in cui il fungo cresceva spontaneamente[12]. Sebbene i risultati di questi primi tentativi di coltivazione fossero incerti e probabilmente poco soddisfacenti dal punto di vista produttivo, essi rappresentarono un passo fondamentale[12].

Gli esperimenti del conte di Borch e di altri dopo di lui contribuirono a stimolare la ricerca e a far comprendere meglio i meccanismi biologici alla base della crescita del tartufo, in particolare la sua natura simbiontica (la necessità di legare la sua vita a quella delle radici di specifiche piante ospiti come la quercia)[12]. Questi primi tentativi, pur rudimentali, aprirono la strada ai successivi progressi scientifici e tecnici che, molti decenni più tardi, avrebbero portato allo sviluppo delle moderne tecniche di produzione di piante micorrizate e all’impianto di tartufaie coltivate, un settore oggi importante per l’industria del tartufo italiano[12].

“I primi esperimenti di tartuficoltura hanno aperto la strada a importanti scoperte e innovazioni che hanno permesso lo sviluppo di questa industria in Italia.”[12]

8. Il tartufo bianco d’Alba: nascita di un mito

Il Tartufo Bianco d’Alba (Tuber magnatum Pico) rappresenta l’apice qualitativo ed economico del mondo dei tartufi, un vero e proprio mito gastronomico celebrato a livello internazionale[13]. La sua fama planetaria, tuttavia, è un fenomeno relativamente recente, costruito in gran parte nel corso del XX secolo, grazie soprattutto all’intuizione e all’abilità promozionale di una figura chiave: Giacomo Morra[13].

La rarità di questo tartufo (cresce spontaneamente solo in aree molto limitate del Piemonte, soprattutto Langhe e Monferrato, e in poche altre zone d’Italia e dell’Istria), la sua stagionalità estremamente breve (da fine settembre a dicembre) e, soprattutto, il suo profilo aromatico inimitabile – complesso, intenso, con oltre 120 molecole odorose identificate – ne fanno un prodotto unico e preziosissimo[14]. È un fungo che non ammette compromessi.

Giacomo Morra e la promozione internazionale

Giacomo Morra, albergatore e ristoratore di Alba negli anni ’30-’60 del Novecento, ebbe l’idea geniale di associare il Tartufo Bianco Pregiato della sua zona al nome della città di Alba e di promuoverlo a livello internazionale attraverso strategie di marketing ante litteram[13]. Ogni anno, durante la stagione di raccolta, Morra omaggiava il più grosso esemplare di tartufo bianco trovato (“il Tuber dell’anno”) a una celebrità mondiale (capi di stato, attori, artisti), ottenendo in cambio una straordinaria visibilità mediatica. Creò anche la Fiera del Tartufo Bianco d’Alba, un evento che ancora oggi attira migliaia di turisti e appassionati da tutto il mondo[13]. Grazie a Morra, il Tartufo Bianco d’Alba (o tartufo d’Alba) divenne il “diamante grigio” della gastronomia, un mito culinario e un simbolo del lusso Made in Italy[13].

Caratteristiche del Tartufo Bianco d’AlbaValore/Descrizione
RaritàElevata (limitato a poche aree specifiche)
StagionalitàSettembre – Dicembre[14]
Profilo aromaticoOltre 120 molecole odorose, complesso, intenso[14]
Nome scientificoTuber magnatum Pico[13]
Promotore storicoGiacomo Morra[13]

[14]

“Il Tartufo Bianco d’Alba è diventato nel tempo uno dei prodotti gastronomici più pregiati e mitici al mondo.”[14]

9. Leggi e regolamenti: la tutela del tartufo in Italia

Data l’importanza economica e culturale del tartufo, l’Italia ha sviluppato nel tempo una normativa specifica per regolamentarne la raccolta, la conservazione e il commercio, al fine di tutelare sia il prodotto che l’ambiente in cui cresce[15]. La legge quadro nazionale è la n. 752 del 1985, che disciplina la “Raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo”, demandando poi alle singole Regioni l’emanazione di norme più dettagliate[15].

Queste leggi stabiliscono principi fondamentali[15]:

  • La raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, ma è vietata nelle tartufaie coltivate o controllate e nei fondi chiusi.
  • La ricerca può essere effettuata solo da raccoglitori autorizzati (in possesso di apposito tesserino, rilasciato dopo un esame di idoneità, e con età minima di 14 anni) e con l’ausilio obbligatorio del cane addestrato.
  • Sono definiti i periodi di raccolta specifici per ogni specie di tartufo, al di fuori dei quali la raccolta è vietata per consentire la maturazione delle spore e la riproduzione del fungo. È vietato raccogliere tartufi immaturi.
  • La raccolta deve avvenire con strumenti idonei (vanghetto o zappetto) che non danneggino l’ambiente e le radici delle piante simbionti. Le buche scavate devono essere richiuse.
  • È vietata la lavorazione del terreno nelle tartufaie naturali.

Esistono anche normative storiche, come l’Editto Reale di Carlo Emanuele III del 1756, che regolamentava la cerca notturna, una pratica tradizionale ancora diffusa in alcune zone[16]. La lavorazione e conservazione dei tartufi è riservata a ditte specializzate che devono garantire la qualità e la salubrità del prodotto finale[15]. Queste normative, pur complesse, sono essenziali per salvaguardare il prezioso patrimonio tartuficolo italiano e proteggere i consumatori da frodi o prodotti di bassa qualità[15, 16].

10. Le grandi dinastie di tartufai: storie di famiglie e segreti

La storia del tartufo italiano è anche la storia di famiglie di tartufai (i cercatori di tartufi) che, per generazioni, hanno custodito e tramandato i segreti di quest’arte antica, sviluppando una conoscenza profonda del territorio e un legame quasi simbiotico con la natura[17]. Queste dinastie rappresentano la memoria storica della ricerca del tartufo e sono fondamentali per la conservazione di questo patrimonio culturale[17].

I Savini in Toscana: quattro generazioni di cercatori

Un esempio emblematico è la famiglia Savini, originaria delle colline di San Miniato in Toscana, una delle zone più vocate per il Tartufo Bianco Pregiato[17]. La loro storia inizia nel lontano 1920 e prosegue da quattro generazioni, animata dalla stessa passione e dedizione[17]. I Savini hanno tramandato di padre in figlio non solo le tecniche di cerca con il cane, ma anche la conoscenza dei luoghi più propizi (le “poste”), dei segnali della natura che indicano la presenza del tartufo e dei periodi migliori per la raccolta, segreti gelosamente custoditi[17].

Storie come quella dei Savini, o di altre famiglie storiche di tartufai nelle Langhe piemontesi o nell’Appennino umbro-marchigiano, sono un patrimonio inestimabile[17]. Dimostrano come l’esperienza accumulata e la profonda conoscenza del territorio siano elementi insostituibili nella ricerca di questo sfuggente fungo ipogeo, ben al di là della semplice tecnica[17]. Queste famiglie sono i veri custodi della tradizione tartufigena italiana[17].

[17]

“Queste storie di famiglie che si sono dedicate per decenni alla cerca del tartufo hanno contribuito a preservare e arricchire la cultura e le tradizioni legate a questo simbolo gastronomico italiano, mantenendo vivo il legame tra uomo, natura e territorio.”[17]

11. Il tartufo nella letteratura e nell’arte italiana

Il fascino misterioso e il valore quasi mitico del tartufo non potevano non lasciare un segno anche nel mondo della letteratura e dell’arte italiana[18]. Fin dal Rinascimento, questo prezioso fungo ha ispirato artisti e scrittori, diventando simbolo di lusso, piacere terreno e, talvolta, persino di intrigo.

Nel XVII secolo, il tartufo compare frequentemente nelle sontuose nature morte barocche, accanto ad altra selvaggina, frutta pregiata e vasellame ricco[18]. Artisti come Caravaggio o Evaristo Baschenis lo ritraggono come elemento prezioso delle tavole imbandite, simbolo di opulenza e dei piaceri della buona tavola[18]. Queste rappresentazioni pittoriche testimoniano l’importanza acquisita dal tartufo nella cultura gastronomica e sociale dell’epoca[18].

Anche la letteratura ha subito il fascino del tartufo. Sebbene l’opera più famosa che ne porta il nome, “Il Tartufo o l’Impostore” di Molière (1664), utilizzi il termine in senso metaforico per descrivere un personaggio ipocrita e subdolo, essa testimonia comunque la notorietà raggiunta dal nome “tartufo” già nel Seicento[18]. Più recentemente, numerosi scrittori e poeti hanno dedicato pagine al tartufo, celebrandone l’aroma, il mistero della sua ricerca o il suo ruolo nella convivialità. È stato definito il “Mozart dei funghi” o “l’Araba fenice della gastronomia internazionale”, epiteti che ne sottolineano l’unicità e il fascino quasi magico[20]. La storia del tartufo si intreccia quindi anche con quella dell’arte e delle lettere[20].

12. Tartufo e gastronomia: l’evoluzione delle ricette storiche

Il ruolo del tartufo nella gastronomia italiana ha seguito un percorso evolutivo affascinante, passando da ingrediente misterioso e quasi esoterico a protagonista indiscusso dell’alta cucina[21]. Già nel XV secolo, il “Libro de arte coquinaria” di Maestro Martino da Como, considerato uno dei padri della cucina italiana moderna, includeva alcune ricette che prevedevano l’uso dei tartufi, probabilmente il tartufo nero[21].

Con la sua riscoperta nel Rinascimento, il tartufo tornò prepotentemente sulle tavole aristocratiche, utilizzato per insaporire carni, ripieni, salse e persino dolci[22]. L’uso culinario si affinò ulteriormente nel Settecento, secolo d’oro del Tartufo Bianco Piemontese, quando questo fungo divenne ingrediente imprescindibile nei banchetti delle corti europee[22]. Le ricette divennero più raffinate, cercando di esaltare l’aroma unico del tartufo senza coprirlo: nacquero così abbinamenti classici che perdurano tutt’oggi, come le uova al tegamino, i tajarin o il risotto al tartufo bianco.

Dal “Libro de arte coquinaria” di Maestro Martino al presente

Il trattato quattrocentesco di Maestro Martino testimonia l’antica presenza del tartufo nella nostra tradizione culinaria[22]. Da allora, l’uso del tartufo si è evoluto costantemente, adattandosi ai cambiamenti del gusto e alle nuove tecniche di cucina[22, 23]. Oggi, gli chef continuano a sperimentare, utilizzando il tartufo (sia bianco che nero, ma anche le varietà minori) in modi sempre nuovi e sorprendenti, dalle preparazioni più tradizionali a quelle più avanguardistiche, dimostrando la straordinaria versatilità di questo ingrediente[23]. Anche i prodotti a base di tartufo (oli, salse, creme) sono sempre più diffusi[23].

Il tartufo ha saputo attraversare i secoli, mantenendo intatto il suo fascino e il suo status di ingrediente d’eccellenza[23]. La sua storia gastronomica è un viaggio affascinante che continua ancora oggi[21, 22, 23].

13. I record nella storia: i tartufi più grandi e costosi

La rarità e l’eccezionalità di alcuni esemplari di tartufo, specialmente il Tartufo Bianco Pregiato (Tuber magnatum), hanno dato origine a veri e propri record di dimensioni e, soprattutto, di prezzo nel corso della storia del tartufo[24]. Questi ritrovamenti eccezionali alimentano il mito e il fascino di questo prezioso fungo.

Nel 2007, un esemplare di tartufo bianco da 750 grammi fu battuto all’asta internazionale di Grinzane Cavour (legata alla Fiera del Tartufo di Alba) per la cifra record di 143.000 euro[24]. Ancora più clamoroso fu il caso del tartufo bianco da 1,5 kg trovato in Toscana e venduto, sempre all’asta, per 330.000 dollari. Questi prezzi astronomici, spesso legati ad aste di beneficenza che attirano magnati e celebrità da tutto il mondo, superano di gran lunga il valore di mercato standard del tartufo, ma testimoniano lo status di bene di lusso estremo raggiunto da questo prodotto[24].

È interessante confrontare questi record con quelli di altri prodotti alimentari o beni di lusso[24]: un tonno rosso gigante venduto in Giappone per 2,6 milioni di euro; una bottiglia di vino Romanée-Conti del 1945 venduta per 558.000 dollari; una bottiglia di whisky Macallan del 1926 per 843.000 dollari; il caviale da storione albino che può raggiungere i 200.000 euro al kg[24]. Persino un bulbo di tulipano “Semper Augustus”, durante la bolla speculativa olandese del 1637, arrivò a costare 2.500 fiorini, una cifra enorme per l’epoca[24]. Questi confronti evidenziano come il tartufo bianco, per la sua rarità e desiderabilità, si collochi nell’olimpo dei prodotti più esclusivi e costosi al mondo[24]. La maggior parte dei tartufi non raggiunge queste cifre, ma il mito contribuisce al valore generale.

FAQ

Quali sono le origini mitologiche del tartufo?

Secondo un’antica leggenda etrusca e romana, il tartufo (prezioso fungo ipogeo) nascesse dall’azione di un fulmine scagliato da Giove vicino a una quercia[1, 3]. Questa origine divina contribuì a crearne il mito e ad associarlo a proprietà straordinarie, anche afrodisiache[1].

Quando sono state ritrovate le prime testimonianze sull’utilizzo del tartufo in Italia?

Le prime notizie certe sul tartufo compaiono nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (I sec. d.C.), che ne descriveva la natura misteriosa e ne attribuiva la conoscenza agli Etruschi[4]. Il gastronomo Apicio ne riportava l’uso culinario[4].

Cosa accadde al tartufo durante il Medioevo?

Nel Medioevo, il tartufo cadde in disgrazia, venendo spesso considerato un “frutto del diavolo” a causa della sua origine misteriosa e del suo odore penetrante[5]. Scomparve in gran parte dalle tavole aristocratiche[5].

Come il Rinascimento ha influenzato la riscoperta del tartufo?

Il Rinascimento segnò la rinascita del tartufo, che tornò ad essere apprezzato come ingrediente di lusso dalle famiglie nobili (Medici, Borgia)[8]. Studi scientifici iniziarono a classificarlo come fungo (Cesalpino) e trattati specifici ne descrissero le qualità (Ciccarelli)[8]. Caterina de’ Medici contribuì a diffonderne la fama in Francia[8].

Come è evoluta la tecnica di ricerca del tartufo nel corso dei secoli?

Inizialmente ci si affidava all’istinto dei maiali, poi si passò all’uso di cani addestrati (come il Lagotto Romagnolo), più efficaci e meno distruttivi[9]. Oggi, la ricerca del tartufo unisce l’esperienza del tartufaio e l’olfatto del cane a possibili supporti tecnologici[9].

Perché il XVIII secolo è stato definito il “secolo d’oro” del tartufo italiano?

Nel Settecento, il tartufo bianco piemontese divenne una prelibatezza ricercata in tutte le corti europee, un vero status symbol e “divertimento di palazzo” per sovrani come Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III[11]. Nello stesso secolo, Vittorio Pico ne diede la prima classificazione scientifica come Tuber magnatum[11].

Quali sono stati i primi tentativi di coltivazione del tartufo?

I primi esperimenti documentati di tartuficoltura risalgono alla seconda metà del ‘700 in Piemonte, ad opera del conte de Borch[12]. Pur con risultati incerti, furono importanti per iniziare a comprendere la biologia simbiontica del tartufo[12].

Perché il Tartufo Bianco d’Alba è diventato uno dei prodotti gastronomici più pregiati al mondo?

Grazie alla sua estrema rarità, alla breve stagionalità, al profilo aromatico unico e complesso, e all’abile promozione internazionale avviata da Giacomo Morra nel XX secolo, il Tartufo Bianco d’Alba (Tuber magnatum Pico) è diventato un mito gastronomico globale[13, 14].

Come sono state regolamentate nel corso della storia le attività di raccolta del tartufo in Italia?

Esistono leggi nazionali (L. 752/1985) e regionali che regolamentano la raccolta: periodi specifici per specie di tartufo, obbligo di tesserino per i cercatori, uso del cane, strumenti idonei, divieto di raccolta in aree private o tartufaie coltivate[15]. Anche editti storici (es. Carlo Emanuele III) ne normavano la cerca[16].

Quali sono alcune delle grandi famiglie di “tartufai” che hanno contribuito alla storia del tartufo italiano?

Famiglie come i Savini in Toscana rappresentano dinastie di tartufai che hanno tramandato per generazioni l’arte della cerca e la conoscenza profonda del territorio, contribuendo a preservare questo patrimonio culturale[17].

In che modo il tartufo ha ispirato opere letterarie e artistiche in Italia?

Il tartufo compare nelle nature morte barocche come simbolo di lusso[18]. Ha ispirato opere letterarie (anche se talvolta in senso metaforico, come in Molière) e continua ad essere celebrato in libri e articoli per il suo fascino[18, 19, 20].

Qual è stato il ruolo del tartufo nell’evoluzione della gastronomia italiana?

Presente fin dai ricettari medievali (Maestro Martino), il tartufo è diventato ingrediente fondamentale dell’alta cucina dal Rinascimento[21]. Il suo uso si è evoluto, dai piatti tradizionali (uova, pasta, risotto) a sperimentazioni moderne, mantenendo sempre uno status di eccellenza culinaria[22, 23].


Riepilogo Punti Chiave

  • La storia del tartufo affonda le sue radici nell’antichità, tra miti (origine dai fulmini di Giove) e apprezzamenti culinari (Romani, Apicio).
  • Considerato afrodisiaco nell’antichità (es. Galeno), cadde in disgrazia nel Medioevo per poi essere riscoperto nel Rinascimento da nobili come Caterina de’ Medici e Lucrezia Borgia.
  • La classificazione botanica dei tartufi iniziò nel XVIII secolo con Vittorio Pico (Tuber magnatum) e proseguì con Carlo Vittadini.
  • La ricerca del tartufo, inizialmente con maiali, si è evoluta con l’uso di cani addestrati.
  • Il Settecento fu il secolo d’oro del tartufo bianco piemontese, celebrato in tutte le corti europee.
  • I primi tentativi di tartuficoltura risalgono al XVIII secolo.
  • Giacomo Morra nel XX secolo contribuì a creare il mito del Tartufo Bianco d’Alba (tartufo d’Alba), anche attraverso la Fiera del Tartufo.
  • Esistono leggi specifiche che tutelano la raccolta e il commercio dei tartufi in Italia.
  • Famiglie storiche di tartufai sono custodi di un sapere tradizionale prezioso.
  • Il tartufo ha ispirato arte e letteratura ed è un ingrediente fondamentale della gastronomia italiana, dal tartufo nero a quello bianco.

Link alle fonti

  1. Le leggende sul tartufo – https://www.tartufimorra.com/blogs/alba-e-tartufo/leggende-del-tartufo
  2. Il tartufo tra storia e leggenda – https://langhe.net/693/tartufo-storia-leggenda/
  3. Tartufi Nacci 2024 e l’affascinante caccia al tartufo – https://www.papillae.it/tartufi-nacci-laffascinante-al-caccia-tartufo/
  4. Tartufo – Tuber – amaperbene.it – https://www.amaperbene.it/tartufo-tuber/
  5. PDF – http://www.nilalienum.it/Sezioni/Antipsichiatria/Foucault/FoucSFEC.pdf
  6. PDF – https://www.fondowalterbinni.it/biblioteca/20-Antologia-02_416 pag.pdf
  7. Celebrazione del Natale per Stato – https://it.wikipedia.org/wiki/Celebrazione_del_Natale_per_Stato
  8. No title found – https://www.tecnicoprofessionalespoleto.edu.it/progetti/tartufo/storia.html
  9. La storia – Club Italiano Lagotto – https://www.lagottoromagnolo.org/?page_id=62
  10. ORIGINE DELLE RAZZE – DobreDog – https://www.dobredog.it/origine-delle-razze-canine/
  11. Microsoft Word – Parte_settima_capitolo_4 – https://www.liceoluciopiccolo.edu.it/e-teacher/italiano/Parte_settima.pdf
  12. Vino, tartufi, funghi, olio e la magia del foliage d’autunno negli eventi del Ponte di Ognissanti – https://winenews.it/it/vino-tartufi-funghi-olio-e-la-magia-del-foliage-dautunno-negli-eventi-del-ponte-di-ognissanti_509693/
  13. Gamespace Urbanism: City-Building Games and Radical Simulations – Failed Architecture – https://failedarchitecture.com/gamespace-urbanism-city-building-games-and-radical-simulations/?f=fai601c75405-fgxmzd
  14. Come nasce il tartufo: alle origini del mito – Versilfood – https://www.versilfood.com/come-nasce-il-tartufo-alle-origini-del-mito/
  15. Tartufi legge italiana – Ermenegildo Mario Appiano – https://www.appiano.info/tartufi-legge-italiana/
  16. Tartufo: la guida completa – L’appetito vien leggendo – https://l-appetito-vien-leggendo.com/2022/09/guida-tartufo-italia-centrale-tipologie-tartufo-evitare-truffe.html
  17. Storica – vinoestoria – https://vinoestoria.wordpress.com/category/storica/
  18. Il Tartuffo – https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Tartuffo
  19. Tartufomania. Il tartufo in letteratura, arte, cinema e… cucina : Berardo, Cetta: Amazon.pl: Książki – https://www.amazon.pl/Tartufomania-tartufo-letteratura-cinema-cucina/dp/8895177223
  20. Marco Maovaz – Sonia Merli, “Truffle/Truffe. Il Tartufo: una storia di grandi passioni”, Perugia, Fabrizio Fabbri, 2022. – https://www.academia.edu/101580502/Marco_Maovaz_Sonia_Merli_Truffle_Truffe_Il_Tartufo_una_storia_di_grandi_passioni_Perugia_Fabrizio_Fabbri_2022?f_ri=94310
  21. L'”intelligenza naturale” al centro della 94ª Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba – ATNews.it – https://www.atnews.it/2024/07/lintelligenza-naturale-al-centro-della-94a-fiera-internazionale-del-tartufo-bianco-dalba-237797/
  22. “Piccola storia dei Tajarìn- Viaggio affettuoso di un piatto povero diventato ricco”: il nuovo saggio di Luciano Bertello, edito da Slow Food Editore – https://www.identitagolose.it/sito/it/118/30932/in-libreria/piccola-storia-dei-tajarin-viaggio-affettuoso-di-un-piatto-povero-diventato-ricco-il-nuovo-saggio-di-luciano-bertello-edito-da-slow-food-editore.html
  23. untitled – https://www.ascoliconfagricoltura.it/assets/Alla-scoperta-del-tartufo1.pdf
  24. non di solo pane vive l’uomo – i cibi più costosi della storia: dal tonno al tartufo fino a… – https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/non-solo-pane-vive-rsquo-uomo-ndash-attesa-dell-39-asta-249564.htm?upwithpatriots=true
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